Il “testamento” di Reyhaneh Jabbari. Un’altra bufala?
Sulle prove prodotte in aula che hanno portato in Iran alla condanna a morte della povera Reyhaneh Jabbari ho già scritto e così pure sulla infamia della pena di morte che, in Iran come in tanti altri paesi, continua ad essere comminata. Occupiamoci ora del cosiddetto “testamento” di Reyhaneh Jabbari che sta dilagando sui media mainstream e su internet sollecitando – invece di una mobilitazione contro la pena di morte e la revisione del processo chieste da varie organizzazioni umanitarie – una ennesima “guerra umanitaria” contro un ennesimo “stato canaglia”. Del resto, come ha già fatto notare Pino Cabras il “testamento” è stato originariamente pubblicato dal Telegraph che dichiara di averlo ricevuto da quelli che il giornale ritiene “pacifisti iraniani” e cioè, addirittura, dal “National Council of Resistance of Iran”: una organizzazione considerata, fino al settembre 2012, “terrorista” persino dal Dipartimento di stato USA, il quale, comunque, considerata l’esigenza di arruolare tagliagole per guerre a bassa intensità, l’ha poi riabilitata nel novero dei “combattenti per la libertà” e finanziata di conseguenza.
Ma occupiamoci del cosiddetto testamento che sarebbe stato scritto il 1 aprile 2014. Strano che nessuna organizzazione umanitaria lo avesse finora pubblicato (sul sito di Amnesty International, ad esempio, non vi è alcuna traccia). Forse il documento era custodito in esclusiva dal National Council of Resistance of Iran che ha deciso di pubblicarlo solo dopo la morte della ragazza? E perché mai? Un documento così struggente avrebbe certamente contribuito a far crescere la mobilitazione a favore della ragazza e, certamente, anche contro la pena di morte. Ora serve soltanto a far maledire di regime di Teheran.
Un’altra stranezza del documento è la sua pretesa di essere la “trascrizione di un messaggio vocale”. Sarebbe a dire? La registrazione di una telefonata? Una registrazione effettuata di nascosto dalla madre durante qualche colloquio? Il National Council of Resistance of Iran non lo spiega. Di certo non può essere un discorso declamato dalla ragazza ad un registratore poi consegnato alla madre; a meno che non si voglia ipotizzare per le carceri iraniane procedure sconosciute nelle carceri del resto del mondo.
Il “testamento” pubblicato, tra l’altro, risulta essere, con tutta evidenza, un testo scritto per essere letto (si veda, ad esempio, l’articolazione delle frasi e, soprattutto, il loro inizio). Ma, volendo essere magnanimi, e ipotizzando che qualcuno lo abbia rielaborato rispettando la trascrizione di un brano espresso a voce, un paragrafo del testo – tra i tanti, grondanti di struggenti frasi – risulta davvero sospetto:
“Mi ricordo quando mi dicesti di quel vetturino che si mise a protestare contro l’uomo che mi stava frustando, ma che quello iniziò a dargli la frusta sulla testa e sul viso fino a che non era morto.”
Un vetturino che viene ucciso a frustate perché passando di là protestava contro una barbara punizione? Ho passato ore su internet cercando traccia di questo clamoroso episodio che, essendosi svolto per strada, avrebbe pur meritato un qualche post o, addirittura, un qualche video su Youtube.
Ricerca, purtroppo, vana.
Francesco Santoianni
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Il Testamento di Reyhaneh Jabbari
Cara Sholeh, oggi ho appreso che ora è il mio turno di affrontare la Qisas (la legge del taglione del regime iraniano). Mi ferisce che tu stessa non mi abbia fatto sapere che ero arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita. Non credi avrei dovuto saperlo? Lo sai quanto mi vergogno perché sei triste. Perché non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di papà?
Il mondo mi ha concesso di vivere per 19 anni. Quella orribile notte io avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e dopo qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all’obitorio per identificare il mio corpo e là avresti saputo che ero anche stata stuprata. L’assassino non sarebbe mai stato trovato, dato che noi non siamo ricchi e potenti come lui. Poi tu avresti continuato la tua vita soffrendo e vergognandoti e qualche anno dopo saresti morta per questa sofferenza e sarebbe andata così.
Ma con quel maledetto colpo la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato da qualche parte ma nella tomba della prigione di Evin e della sua sezione di isolamento. E ora nella prigione-tomba di Shahr-e Ray. Ma arrenditi al destino e non lamentarti. Tu sai bene che la morte non è la fine della vita.
Tu mi hai insegnato che si arriva in questo mondo per fare esperienza e imparare la lezione e che a ognuno che nasce viene messa una responsabilità sulle spalle. Ho imparato che a volte bisogna lottare. Mi ricordo quando mi dicesti di quel vetturino che si mise a protestare contro l’uomo che mi stava frustando, ma che quello iniziò a dargli la frusta sulla testa e sul viso fino a che non era morto. Tu mi hai detto che per creare un valore si deve perseverare, anche se si muore.
Tu ci hai insegnato, quando andavamo a scuola, che si deve essere una signora di fronte alle discussioni e alle lamentele. Ti ricordi quanto notavi il modo in cui ci comportavamo? La tua esperienza era sbagliata. Quando è accaduto questo incidente, questi insegnamenti non mi hanno aiutato. Essere presentabile in tribunale mi ha fatto apparire come un’assassina a sangue freddo ed una spietata criminale. Non ho versato lacrime. Non ho implorato. Non mi sono disperata, perché avevo fiducia nella legge.
Ma sono stata accusata di rimanere indifferente di fronte ad un crimine. Lo sai, non uccidevo neanche le zanzare e gettavo via gli scarafaggi prendendoli dalle antenne e ora sono diventata un’assassina volontaria. Il modo in cui trattavo gli animali è stato interpretato come un comportamento mascolino e il giudice non si è neanche preoccupato di tenere in considerazione il fatto che all’epoca dell’incidente avevo le unghie lunghe e laccate.
Quant’è ottimista colui che si aspetta giustizia dai giudici! Il giudice non ha mai contestato il fatto che le mie mani non sono ruvide come quelle di uno sportivo, specialmente un pugile. E questo paese per il quale tu hai piantato l’amore in me, non mi ha mai voluto e nessuno mi ha sostenuto quando sotto i colpi degli inquirenti gridavo e sentivo i termini più volgari. Quando ho perduto il mio ultimo segno di bellezza, rasandomi i capelli, sono stata ricompensata: 11 giorni in isolamento.
Cara Sholeh, non piangere per ciò che stai sentendo. Il primo giorno in cui alla stazione di polizia una vecchia agente zitella mi ha schiaffeggiato per le mie unghie, ho capito che la bellezza non viene ricercata in quest’epoca. La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione e persino la bellezza di una voce dolce.
Mia cara madre, la mia ideologia è cambiata e tu non ne sei responsabile. Le mie parole sono eterne e le affido tutte a qualcun altro, in modo che quando verrò giustiziata senza la tua presenza e senza che tu lo sappia, ti vengano consegnate. Ti lascio molto materiale manoscritto come mia eredità.
Però, prima della mia morte voglio qualcosa da te, qualcosa che mi devi dare con tutte le tue forze e in ogni modo possibile. In realtà è l’unica cosa che voglio da questo mondo, da questo paese e da te. So che avrai bisogno di tempo per questo. Perciò ti dirò una parte delle mie volontà presto. Ti prego non piangere e ascolta. Voglio che tu vada in tribunale e dica a tutti la mia richiesta. Non posso scrivere una simile lettera dalla prigione che venga approvata dal direttore della prigione. Perciò dovrai di nuovo soffrire per causa mia. E’ l’unica cosa per la quale, se implorerai, non mi arrabbierò anche se ti ho detto molte volte di non implorare per salvarmi dall’esecuzione.
Mia dolce madre, cara Sholeh, l’unica che mi è più cara della vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventino polvere. Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono. Non voglio che il destinatario conosca il mio nome, compratemi un mazzo di fiori, oppure pregate per me. Te lo dico dal profondo del mio cuore che non voglio avere una tomba dove tu andrai a piangere e a soffrire. Non voglio che tu ti vesta di nero per me. Fai di tutto per dimenticare i miei giorni difficili. Dammi al vento perché mi porti via.
Il mondo non ci ama. Non ha voluto che si compisse il mio destino. E ora mi arrendo ad esso ed abbraccio la morte. Perché di fronte al tribunale di Dio io accuserò gli ispettori, accuserò l’ispettore Shamlou, accuserò il giudice e i giudici della Corte Suprema che mi hanno picchiato mentre ero sveglia e non hanno smesso di minacciarmi. Nel tribunale del creatore accuserò il Dr. Farvandi, accuserò Qassem Shabani e tutti coloro che per ignoranza e con le loro bugie mi hanno fatto del male ed hanno calpestato i mie diritti e non hanno prestato attenzione al fatto che a volte ciò che sembra vero è molto diverso dalla realtà.
Cara Sholeh dal cuore tenero, nell’altro mondo siamo tu ed io gli accusatori e gli altri gli accusati. Vediamo cosa vuole Dio. Vorrei abbracciarti fino alla morte. Ti voglio bene.
Reyhaneh, 1° Aprile 2014