Una lezione dalla Grecia
Almeno Alexis Tsipras e il popolo greco hanno costretto le consorterie finanziarie europee a spaccarsi e concedere una (se pur risibile) rinegoziazione del Debito; al contrario di quanto avvenuto in Italia quattro anni fa quando – senza una sola ora di sciopero – la Troika impose Mario Monti, il pareggio di bilancio nella Costituzione e il cappio di un mostruoso debito pubblico (quest’anno l’Italia dovrà sborsare 106 miliardi di euro solo per pagarne gli interessi). Meglio ricordarlo ai tanti rivoluzionari da tastiera che, dopo uno sfegatato “tifo” per Tispras, ora lo crocifiggono accusandolo di tutto, tranne che della sua principale “colpa”: essere andato allo sbaraglio senza un “Piano B”. E cioè cosa fare quando tutti i suoi appelli umanitari si sarebbero infranti contro il prevedibile “Nein” della Troika.
Ci riferiamo all’uscita dall’Euro che Tsipras (e la maggioranza di Syriza) escludeva a priori. E la escludeva pure Varoufakis che oggi pretende di tirarsi fuori. Vale la pena, a tal riguardo di leggere un suo articolo di appena qualche giorno fa. “I Greci, a ragione, tremano al pensiero dell’amputazione dall’unione monetaria. L’uscita da una moneta comune non è come troncare un piolo, come ha fatto la Gran Bretagna nel 1992 (…) Ahimè, la Grecia non ha una moneta il cui piolo con l’euro può essere tagliato. Ha l’euro – una valuta estera completamente amministrata da un creditore ostile alla ristrutturazione del debito insostenibile della nostra nazione. (…) Per uscire, dovremmo creare una nuova moneta da zero. Nell’Iraq occupato, l’introduzione della nuova carta moneta ha impiegato quasi un anno, 20 o giù di lì Boeing 747, la mobilitazione della potenza delle forze armate Usa, tre aziende di stampa e centinaia di camion...”
In realtà, una moneta nazionale (da immettere in circuito qualora fosse fallito ogni tentativo di mediazione con la Troika) poteva essere creata già nel gennaio 2015 quando Tsipras divenne capo del Governo. Così non ha voluto. Anzi, ha fatto di peggio: nel giugno di quest’anno ha accettato di pagare (ovviamente in euro) una ennesima rata di 7 miliardi di euro per interessi maturati su un Debito pubblico oramai fuori controllo. E quando ormai la fuga di capitali dalla Grecia verso altri paesi ha raggiunto dimensioni gigantesche nulla ha fatto per nazionalizzare, o per bloccare, le banche che questo esodo garantivano.
Perché tutto ciò? E perché non ha dato corso ad accordi finanziari che sembravano essere a portata di mano, come quelli con i BRICS o anche con la sola Russia? Sostanzialmente, perché Syriza è una coalizione a maggioranza socialdemocratica che (ancora?) spera in un alleanza con le componenti “sane” della borghesia greca. Con le quali, dopo il successo del Referendum, ha sottoscritto un davvero sorprendente pacchetto di richieste all’Unione europea, nella illusione che l’alleanza con i servi greci della Troika le garantisse un “trattamento di favore” o, almeno, di guadagnare tempo.
Così non è stato. E oggi la “lezione della Grecia” rischia di avere una valenza diametralmente opposta a quella che si prefigurava appena pochi giorni fa. Anche perché la “Brigata Kalimera” che fino a ieri incensava Tsipras, oggi è allo sbando. E peggio ancora sta chi da questa brigata era stato – settariamente – escluso: il Movimento Cinque Stelle. Per Luigi Di Maio «Tsipras ha tradito il referendum e la democrazia. La Grecia era ad un passo dalla sua libertà, dopo il referendum doveva solo tenere duro ai tavoli europei, purtroppo però è mancato l’attaccante per andare a rete». Insomma, solo una questione di coraggio non di linea politica. Meno male che sarà lui il futuro Tsipras italiano.
E la cosa più tragica è che la prossima Grecia siamo noi.
Francesco Santoianni